Aderenza terapeutica nella persona fragile: tra solitudine, contesti istituzionalizzati e situazioni di emergenza

02.06.2025

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L'aderenza terapeutica è un pilastro della buona pratica clinica e assistenziale, ma resta una delle sfide più delicate e complesse da affrontare, soprattutto quando ci si confronta con la fragilità. Non parliamo solo della fragilità clinica, ma anche di quella sociale, psicologica e organizzativa, che spesso si intrecciano, rendendo difficile un percorso lineare di cura. Se per molti pazienti aderire a una terapia può sembrare un gesto semplice, per la persona fragile — anziana, sola o istituzionalizzata — ogni compressa, ogni indicazione, ogni tempistica può diventare una montagna. 

Nel setting domiciliare non vigilato, la solitudine è spesso il nemico silenzioso. Le persone sole, magari con deficit cognitivi lievi o semplicemente con una quotidianità priva di stimoli e relazioni, dimenticano di assumere le terapie, oppure lo fanno in modo impreciso. Alcuni, con un eccesso di prudenza o per paura di effetti collaterali, scelgono volontariamente di non assumere le medicine. Altri si affidano a sistemi mnemonici instabili, segnandosi orari su foglietti volanti, oppure dipendono da telefonate di figli o badanti non sempre puntuali. In queste case, l'aderenza è un atto fragile quanto la persona stessa.

Le Residenze Sanitarie Assistenziali e i Centri Diurni, pur offrendo un livello di vigilanza superiore, presentano comunque delle criticità. L'organizzazione delle somministrazioni, affidata al personale sanitario, dovrebbe teoricamente garantire una perfetta adesione al piano terapeutico. Eppure, nelle RSA, i carichi di lavoro elevati, la scarsità di personale e la burocrazia rischiano di ridurre l'aderenza a un mero adempimento tecnico, privo del valore educativo e motivazionale necessario alla persona. Nei Centri Diurni, invece, la frammentarietà della presenza degli utenti (alcuni frequentano solo pochi giorni a settimana) rende difficile assicurare continuità e coerenza nell'assunzione delle terapie, specie se il carico terapeutico si concentra proprio nelle ore in cui la persona è a casa.

Diverso, ma non meno complesso, è lo scenario dell'ospedale. Qui, il paziente fragile può essere paradossalmente più protetto sotto il profilo dell'aderenza, grazie a protocolli rigorosi e somministrazioni controllate. Tuttavia, durante i passaggi di setting — dal domicilio al Pronto Soccorso, dall'ambulatorio al ricovero — accade spesso che la terapia venga interrotta o dimenticata. È quasi poetico, se non fosse tragico, il caso della persona che salta le medicine "perché è in sala d'attesa da ore" o "perché nessuno ha chiesto informazioni sul piano terapeutico che seguiva a casa". In quei momenti sospesi, dove tutto è urgenza e nulla è routine, anche il paziente più scrupoloso diventa inadempiente per forza maggiore. Ed è proprio qui che merita una menzione d'onore chi, nonostante tutto, tiene il blister in tasca e chiede con insistenza se può prendere la pillola delle 14, anche se non ha ancora visto un medico.

In questo scenario, i blister personalizzati rappresentano una risorsa preziosa, soprattutto per le persone che vivono da sole. Tuttavia, perché siano davvero efficaci, devono essere strutturati con cura: suddivisi per orario e giorno, dotati di indicazioni chiare, leggibili e progettati per facilitare l'autonomia anche in chi ha difficoltà cognitive o visive. Un blister ben costruito può diventare una guida sicura, uno strumento di empowerment. Se approssimativo o generico, rischia invece di essere ignorato o fonte di errori.

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, in contesti cronici l'aderenza terapeutica nei Paesi sviluppati si attesta intorno al 50% (OMS, 2003). Un dato allarmante, che sale vertiginosamente quando entrano in gioco fragilità multiple. Gli studi di Sabaté e collaboratori hanno dimostrato come i fattori che influenzano l'aderenza siano molteplici: dalla comprensione del piano terapeutico, alla motivazione personale, fino alla relazione con il team curante (Sabaté, 2003).

In definitiva, parlare di aderenza nella persona fragile significa parlare di relazione, presenza, ascolto e contesto. Non bastano i promemoria, i blister organizzati o i piani terapeutici informatizzati. Serve un cambio di paradigma: considerare l'aderenza non come un atto tecnico, ma come un atto relazionale. Solo così, forse, riusciremo a trasformare ogni compressa in un gesto di cura consapevole, e ogni terapia in un'occasione di vicinanza, anche in mezzo alla solitudine o nella confusione del Pronto Soccorso.