Ospedali con meno posti letto: realtà, numeri e nuove strategie di cura
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Negli ultimi anni il dibattito sulla sanità italiana si è spesso concentrato sulla riduzione dei posti letto ospedalieri, con toni talvolta allarmistici che attribuiscono i tagli esclusivamente a scelte di risparmio o a una presunta "malvagità" gestionale. In realtà, la questione è molto più articolata e riflette una profonda trasformazione del modo in cui vengono gestite le cure, le degenze e l'assistenza ai pazienti, in risposta a cambiamenti demografici, scientifici e organizzativi.

I numeri della riduzione: tra emergenza e riorganizzazione
Durante la pandemia di Covid-19, il tema dei posti letto è tornato prepotentemente al centro dell'attenzione pubblica. Tra il 2020 e il 2022, in Italia sono stati tagliati oltre 32.500 posti letto ospedalieri: dai 257.977 del 2020 si è scesi a 225.469 nel 2022, con una carenza stimata di almeno 100.000 posti letto di degenza ordinaria e 12.000 di terapia intensiva rispetto ai bisogn. È un dato che ha fatto discutere, soprattutto perché in quegli anni la pressione sugli ospedali era altissima. Tuttavia, va ricordato che già il Piano Sanitario Nazionale 2003-2005, redatto ben prima dell'emergenza pandemica, prevedeva tra gli obiettivi strategici la riduzione dei ricoveri impropri e della durata delle degenze, grazie allo sviluppo di una rete di servizi territoriali e domiciliari più efficiente. La spesa pubblica per la sanità, tra il 2003 e il 2005, è persino aumentata, segno che la riduzione dei posti letto non era dettata solo da motivi economici, ma da una strategia di riorganizzazione dell'intero sistema.
Perché meno letti non significa meno cure
Il taglio dei posti letto non va letto solo come una sottrazione di risorse, ma come esito di una trasformazione profonda: oggi si punta a curare meno in ospedale e più sul territorio o a domicilio. L'Italia, con una popolazione che invecchia rapidamente (14,3 milioni di anziani, oltre 4,5 milioni di ultraottantenni), ha visto crescere in modo significativo i servizi di assistenza domiciliare, passati da circa 252.000 utenti nel 2014 a quasi 550.000 nel 2023. Questo trend è destinato a rafforzarsi, dato che nei prossimi vent'anni gli over-65 rappresenteranno il 34% della popolazione.
Parallelamente, si sono sviluppati i cosiddetti Ospedali di Comunità e le strutture di cure intermedie, previsti anche dal PNRR, che a metà 2026 dovrebbero offrire oltre 10.700 posti letto dedicati a pazienti che non necessitano più di un ricovero ospedaliero ma non sono ancora pronti per il ritorno a casa. In alcune regioni, come il Lazio, si assiste addirittura a un lieve aumento dei posti letto grazie a una nuova programmazione che punta a rafforzare l'assistenza di prossimità.
Case di cura e residenze: un'offerta in crescita
Se gli ospedali tradizionali riducono i posti letto, le case di cura e le residenze sanitarie assistenziali (RSA) mostrano invece segnali di crescita, sia in termini di disponibilità di posti sia di diversificazione dell'offerta.
Gli ospiti totali al 1° gennaio 2023 erano 362.850, in crescita dell'1,8% rispetto all'anno precedente, confermando una tendenza all'aumento della domanda di residenzialità per anziani.
Degenze più brevi e cure in day hospital
Un altro elemento chiave della riorganizzazione sanitaria è la riduzione della durata delle degenze ospedaliere. Nel 2022, la degenza media per acuti in regime ordinario è scesa a 7,2 giorni rispetto ai 7,4 del 2021, mentre quella per riabilitazione è diminuita a 26,3 giorni dai 27 dell'anno precedente. Anche la lungodegenza si è ridotta, passando da 26,1 a 24,5 giorni. Questo è possibile grazie a trattamenti più efficaci, a una migliore organizzazione e all'ampio ricorso al day hospital, che consente di ricevere cure e terapie specialistiche senza la necessità di pernottare in ospedale9. Il day hospital, introdotto già nel 1985, oggi è utilizzato per una vasta gamma di servizi, dalla chemioterapia ai trattamenti riabilitativi, e rappresenta una risposta moderna alle esigenze di efficienza e qualità delle cure.
Il caso Covid-19: un'eccezione che ha messo a nudo i limiti
Durante la pandemia, la carenza di posti letto è emersa come una criticità drammatica. Tuttavia, va ricordato che il piano emergenziale di riferimento era stato stilato nel 2005 e prevedeva già la necessità di rafforzare la rete territoriale e le cure intermedie. Il Covid-19 ha rappresentato una situazione eccezionale, con una domanda di ricoveri senza precedenti, ma non può essere preso come unico parametro per valutare la bontà delle scelte di riorganizzazione sanitaria.
Conclusioni: meno ospedale, più territorio
La riduzione dei posti letto ospedalieri in Italia non è solo il risultato di tagli e risparmi, ma riflette un cambiamento profondo nel modo di intendere la cura: meno ospedale, più territorio, più casa, più day hospital. Le case di cura e le RSA stanno crescendo per rispondere alle nuove esigenze di una popolazione che invecchia, mentre la durata delle degenze si riduce grazie a cure più efficaci e a una migliore organizzazione. Il sistema, insomma, si sta adattando a una società che cambia, puntando a garantire cure più appropriate, personalizzate e sostenibili. La sfida per il futuro sarà continuare a investire nella rete territoriale e nell'assistenza domiciliare, senza dimenticare la necessità di mantenere un livello adeguato di posti letto ospedalieri per rispondere alle emergenze e alle patologie acute.